LACERAZIONI D’AUTORE TRA LUCI ED OMBRE”
di Mario Majorino.
Alfiero Nena è uno scultore di origine trevigiana che più volte, dagli anni settanta in poi, è stato notato in esposizione nel napoletano, ed in altri luoghi del Sud, ove ha lasciato traccia del suo passato con molte opere significative, a Capri ne l979, con la statua della Madonna del Soccorso, posta sulla cima del Monte Tiberio, di fronte al mare, nell’isola più suggestiva del Mediterraneo, e a Sorrento, con un monumento a S. Francsco nell Piazza omonima: entrambe in bronzo, e di notevoli dimensioni, quasi ramificazioni della sua presenza in Vaticano, e in S. Maria del Popolo a Roma, ove sono collocate sue sculture di gran pregio. Ora si affaccia ancora nel Meridione ove in luoghi prescelti, o forse anche in Salerno, terrà esposizioni di grande significato.
E’ un artista di notevole spessore Alfiero Nena, che alterna il suo lavoro con i materiali più vari, la terracotta, il marmo, il bronzo e, in maniera molto particolare, il ferro,nella sua assoluta natura. Ne sono testimonianza le composizioni di più generi, statue, cancelli, fiori, ringhiere, pannelli, lampade poste in località della Francia, Treviso, a Roma, a Carbonera, in edifici pubblici e privati, quali ornamenti cimiteriali e ringhiere decorative di case, tutti lavori che nulla hanno da invidiare a quelli dell’epoca liberty per un suo moderno gusto rammagliato con inserti antropomorfi e zoomorfi. Da poco ne abiamo visitato una grossa rassegna di ben settanta opere raccolte anche da musei, realizzate con più materiali al grande salone della Fiat a Roma: rassegna accompagnata da un ricco illustrato catalogo, con l’inserimento di più saggi critici avuti dal 1955 ad oggi. In tutti i suoi libri Nena esprime continuamente un linguaggio elevato con sicura perfezione di stile quale rivelazione di autenticità e di bellezza, umana e divina, anche con la sofferenza d’anima e con l’aspirazine d’eternità. Proiettata tutta nel tempo e in una rivelazione sognante, con pensieri di vera incarnazione, le sue opere vivono nel tempo, nella vita e nel mondo, come testimonianza e ricerca di quelle possibilità di purezza e di maturità secondo l’umana natura che, quando s’accosta al divino accende l’immagine dell’esistenza nel profilo di una creatività che dal mitologico arriva all’atto e all’atteggiamento cristiano dell’uomo, …………………………………………………………….dio e ragione di vita ultraterrena.
D’altra parte, e questo è di chiara evidenza, v’è nella scultura del Nena un accumulo straordinario di suffragi tecnici ed un lavoro che, artistico ed artigianale in pari tempo, dati il senso dell’idealità e la pratica eccellente del mestiere, esprime continuamente la possibilità a delle rispondenz veristiche tutte tipologiche ed essenziali alle percezioni di un intendere chiaro e molto ben figurato. Pertanto egli è un plasmatore ed un cesellatore, un esperto praticante della figura umana, come quella animale, riuscendo in ogni modo a mettere in evidenza l’intimo di una scultura, la sceletrizzazione della stessa, e pure, nella confacenza delle iconologie, le fattezze, gli atteggiamenti, il piglio, il sorriso dolce o il verso cachinno, la riflessione oggettiva della sensazione e dei sentimenti; e, infine, ma non in ultimo, il continuo riflettere sugli aspetti essenziali dei tipi, delle figure, dei volti e delle incarnazioni dei soggetti. In questo travaglio di sentimenti ben distinti, egli coglie ognora il sacro e il profano in una osmosi di storie straordinarie di vita e di sentimenti, di ragione e di giustificazioni che danno corpo a tutte le esigenze.
E’ una scultura a soggetti ben chiari, quesa di Nena; di soggetti dalle tante facce, dai tanti risvolti, dalle tante isolate meraviglie che acquistano ancor più consistenza quando il potere di una forza e di una trasformazione dell’umano calca i sentieri del martirio della materia.
Tutto questo, oltre che nel profano, egli manifesta pienamente nel sentimento di una religiosità che porta al monumentale. Si citano due esempi, dell’uno e dell’altro linguaggio: di un cavallo, in ferro, di grande dimensione, di cui ha eseguito tre versioni, come dell’atleta che lancia il giavellotto, che più che la carne e i suoi lacerti, mostrano appieno l’anatomia essenziale, esistenziale, di ossi e ossa, di legamenti corporali e di manifestazioni di un movimento che è forza; e di un Cristo, Lux Mundi, in ferro, bronzo e travertino, collocato nella Basilica di S. Maria del Popolo Roma; dell’uomo-dio nel quale non esiste più, nel travaglio del consummatum est, neppure più il senso della carne sofferente, ma il significato estremo di un corpo ridotto soltanto ad ossa e, ancora, con il volto che è solo simbolo di tragedia nell’espressione del tutto finito, del tutto sofferto.
E v’è un modo tutto proprio di questo scultore nel gestire gli scatti umani, come appunto dell’atleta che ne è di esempio, e dell’animale, come di un qualsivoglia animale, nel bilico con la positura, nel peso esistenziale, per un baricentro sempre ben calcolato, precisato in una stima scientifica e matematica, pari alla certezza che la scultura può sempre, avendone l’artista la capacità, giocare su un solo punto per essere sollevata. Nel rigore di questo assunto la tecnica si associa alla grande concezione dei dati di calcolo scientifico che solo un provetto può gestire.
E tutto questo, nei valori dei gesti, negli emblemi del costruito, nella materia che quasi si inerpica verso il cielo, dà il dominio geniale della concezione dell’opera che va posta in uno spazio dinamico che alleggerisce l’oggetto che quasi sfugge dal proprio orizzonte.
Questo è slo di chi, come Nena, per anni ha insegnato scultura. Qui ci si addentra quasi nel suo mistero di artista; di quel mistero che ogni artista veramente tale sa contenere nel prestigio della propria tecnica e delle responsabilità d’arte.
Tratto da “LA CITTÀ” di Salerno, venerdÌ 30 gennaio 1998 daltitolo “i luoghi dell’arte”, riflessioni sull’opera dello scultore Alfiero Nena. LACERAZIONI D’AUTORE TRA LUCI ED OMBRE” di Mario Majorino.
LA GRANDE SCULTURA DI ALFIERO NENA
di Mario Maiorino
E’ di autentica discendenza paterna la scultura di Alfiero Nena; intendiamo anzitutto per quel mestiere appreso in una bottega in cui il genitore forgiava il ferro con sangue e sudore al classico modo dell’infuocare la materia e poi a furore di braccia, con pinza e martello, ricavarne forme assolute per decorazioni, cancelli, ornamenti di scale ed altro ancora. Nena fa suoi, qui, in questa fucina, i primi elementi della propria occupazione che poi moltiplicherà frequentando Scuola d’Arte ed Accademia, ove, rimanendo legato alle passate esperienze, oltre che col ferro, lavorerà all’argilla e al cotto, prima che al marmo, alla pietra ed al bronzo, alla vecchia maniera, considerando ciò, come è da riconoscersi, il vero, primo modo dello scolpire, come ci viene dato anche dalla mitologia, dalla possente figura di Vulcano che forgia lo scudo di Achille.
Ma Nena, della sua origine trevigiana conserva ancora dell’altro, la passione dello scolpire il legno alla pari della pietra, riconoscendo in tali materie il senso della vera natura per ricavar figure. Ciò si è notato, e bene, in grande raffigurazione, alla recente esposizione che ha tenuto a Roma al gran salone della FIAT, ove ben settanta sculture, dalle fogge e dai materiali più vari, parecchie di notevoli dimensioni, date in prestito anche da musei ove sono collocate, hanno dato il segno di una comunicazione di illimitate possibilità. La meraviglia per ciò è grande, e ci si chiede come mai un artista di tanta forza e che tale si rivela al primo impatto, che ha collocato sue opere in tante collezioni pubbliche e private italiane e straniere, in Vaticano, come in Basiliche e Cattedrali – basti pensare, nell’esempio al Cristo in bronzo, ferro e travertino sistemato in S. Maria del Popolo in Roma accanto alle opere del Caravaggio, o alla statua della Madonna del Soccorso collocata nei resti della Villa di Tiberio o Capri, o al S. Francesco, un grande bronzo posto a Piazza S: Francesco a Sorrento – non abbia goduto della grande fama che merita, essendo egli alla pari, per arte religiosa e profana, per statura e concezione d’artista, di un Franchini, di un Greco, di un Manzù. Ce lo spieghiamo solo col fatto che egli è stato di una generazione seguente, lavorando spesso anche nell’ombra accanto a qualcuno di questi maestri come Greco, che, immotivatamente non è stato molto spesso tenero con lui.
Ma egli è e rimane, ad avviso di chiunque intenda la profonda arte della scultura, un grande artista che affronta con grande mestiere, concezione, progettazione e realizzazione opere di elevato livello culturale, laiche e religiose: le une nelle fattezze più suadenti delle problematiche umane; le altre, nello spirito dell’incarnazione cristiana nei concepimenti di soggetti, quali Cristi e Madonne, trattati in una larghezza di vedute che lascia da parte il fantastico, curando con profonda acutezza la mortificazione della carne nelle motivazioni divine. In ciò esprime continuamente, senza alcuna pausa, un linguaggio di grande elevazione nell’immersione di quelle autentiche bellezze dal carattere d’eternità, nella gioia, nel dolore, nel tormento della vita e nella tensione dell’accaduto.
E rimane di un’autenticità senza pari, come testimonianza e ricerca di quelle possibilità di purezza e maturità secondo l’umana natura, sia quando avvicinandosi al divino infuoca l’immagine esistenziale con una creatività in cui la tenerezza, espressione pura dell’anima, vive intera nei riverberi della forma in un assoluto di palpiti di continua presenza, sia quando ne rende i corpi visibilmente mortali in un’incarnazione di vita terrena che trascende ogni materialità in rispondenze veristiche di puro senso e significato sublime. Ed esiste, in questi due aspetti, umani e divini, l’osmosi di tali allitterazioni, senza che se ne colga, per la straordinaria oggettività, altro che non sia dominio assoluto della materia che pure è travagliata da sofferenze, come dire dall’aspetto più umano rapportato all’immagine divina.
Con la scultura che naturalizza questi due aspetti, Nena compie veri atti di alta immaginazione, di pervasa bellezza in una testimonianza di vita della scultura nel tempo: antica, perché interpreta i sentimenti umani che vanno verso il sublime; e moderna, per quella ricerca sempre viva nel cogliere gli istanti di riflessione della presenza nella vita di ogni proselitismo che si accolga nelle cognizioni della nostra epoca. In questo egli rivela la maestria della sua creazione con opere che sono musicali, classiche, di motivazioni religiose e drammatiche per i tormenti dell’umano nella trasfigurazione del divino. A tutto ciò contribuisce la buona tecnica che gli consente anche di far quasi lievitare la scultura sempre più in alto, con lo slancio e lo scatto per la liberazione dalla terra.
I punti focali dei suoi baricentri studiati scientificamente gli permettono anche ciò: il cavallo si mantiene sospeso in alto sulle due gambe posteriori senza crollare, l’atleta che si proietta, tutto corpo in avanti, quasi in parallelo all’orizzonte, senza perdere equilibrio, la figura dell’uomo col capo proteso in alto senza cadere, sono cose di non poco conto di chi, nel tormento dei gesti, dà anche il vero senso della vita, della carne e dello spirito. In ciò si aggiungono l’eleganza dei corpi, le espressioni dei volti, gli atteggiamenti divini del dolore. Nena rende la scultura anche conoscenza e meraviglia; ma di più, segno ideale di un’arte che è umana solo perché è fatta dall’uomo, ma che s’impregna di divino, quando, come egli fa, guarda in alto, nella certezza dei cieli.
tratto da ARTE E FEDE quadrimestrale di arte e cultura (dell’UCAI),. Nuova serie – Anno I, n.1, gennaio-aprile 1998