ALFIERO NENA, IL LINGUAGGIO DELL’ANIMA

“di Elio Mercuri”

Alfiero Nena nasce a Treviso nel 1933 nel vivo di una tradizione e di una storia mirabile da Canova ad Arturo Martini la cui lezione è ancestrale ritorno alle radici di una tradizione millenaria, cui si appartiene per diritto di nascita e per necessità di vocazione al di là delle apparenti evoluzioni delle forme. La sua vocazione si rivela nell’attrazione per la bottega del padre, grande maestro artigiano del ferro.
Nella sua determinazione di artista, giovanissimo si trasferisce a Roma (1959) per completare la sua formazione all’Accademia delle Belle Arti dove ha maestri di cultura come Enrico Crispolti e di scultura come Emilio Greco che per le sue attitudini e qualità trasforma da allievo a valido collaboratore.
Vigile alle esperienze della scultura, da Marino Marini a Manzù a Fazzini ma anche alle grandi lezioni di Rodin o Giacometti e di Moore nella dialettica di creatività altissima, pone al centro del suo lavoro la sua idea, l’affermazione dell’uomo e del suo “valore” sì da costituire un punto fermo nella ricerca di dare risposta salda agli smarrimenti e alla crisi, alla sensazione di processi che ne mettono a rischio la presenza e il senso.
In grande solitudine, schivo alle mode e all’ideologia che vuole oggi l’arte terminale” come arte prossima alla fine nella costruzione, per dirla con Baudrillard del “delitto perfetto”, nell’assassinio della realtà ad opera delle nuove tecnologie che perdono il controllo del meccanismo di trasformazione di tutte le azioni, di tutti i fatti, in informazione pura, dove la realtà è cancellata dal suo doppio, dal virtuale.
Ma nessun delitto è perfetto e la ricerca di Nena riscopre, nella sua ineguagliabile certezza di valori che istintivamente vive l’errore e ne rivela la fragilità nel non saper vivere l’anima, l’uomo, “Cristo”, o il ragazzo del mare, o animale nel prodigio del ferro si presentano nel loro “senso” invalicabile, nella loro struttura forte; nella terracotta o nel bronzo forma che dall’interno si espande all’esterno e nei tratti di un volto o nelle linee di un dorso, da immagine nella scultura diviene evento di natura, immagine di mito nella sua tensione di dare una spiegazione totale del reale e che sia valida per ogni soggetto, per il mondo animale, per quello vegetale, per la metereologia e l’astronomia, per le relazioni sociali e i comportamenti umani.
Nena ha la forza dell’istinto dell’uomo delle origini nell’affrontare gli elementi, l’acqua, il fuoco, l’aria, la terra e plasmarli nella forma assoluta, come l’immaginazione modella sulla spinta dell’emozione. E’ la ragione della “naturalezza” delle sue sculture, testimoni delle ore della sofferenza e della morte, ma anche e sempre contemplazione della bellezza, di una Adolescente, “Francesca” o di una tenera “Maternità”, quando pare che segua le parole di Socrate per apprendere parole misteriose e semplici attorno all’Amore: al desiderio insaziabile di ricongiungersi all’unità primaria, a ciò che abbiamo perduto con la perdita dell’anima. Nena può essere iscritto al numero di quegli scultori ammirati da Adriano: “Io sono come i nostri scultori, l’umano mi appaga. Vi trovo tutto, persino l’eternità”. Può così l’opera di Nena essere inserita in quella storia della scultura più ricca d’anima che il nostro secolo abbia prodotto a conferma che anche quando il pensiero è debole e pare che l’artificiale occupi lo spazio della vita, l’arte e l’uomo sono forti.

Elio Mercuri

La scultura può essere ancora monumento, all’uomo, a Dio, a quanto pur sotto i colpi degli eventi, e l’insidia del nulla, resta spazio e storia, valore, sottratto alla precarietà della morte anche se al costo di un’estrema rinuncia.
Alfiero Nena crede nel lavoro dello scultore e crede nel valore delle cose; le vede private di ogni senso e si ribella, alla ricerca del momento incorruttibile, nel quale sono sostanza e realtà. La sua opera è affermazione di realtà, del cavallo o di una sublime e dolcissima maternità, di un volto, di un ramo o di una radice, di Cristo: di questa realtà vive il dramma, la consunzione, il dubbio, la voragine che pare svuotarla, ma anche l’assoluta irrinunciabile presenza.
La scultura matura e da rappresentazione e figura diviene forma, forma che s’erge solenne ed indica l’altra possibilità, per cui è valore, cioè è vita e mai vuoto o morte; quand’anche tremenda è la distanza, profonda la solitudine, dura la separazione: prende corpo la realtà, raccolta dai frammenti, dai detriti, dai brani bruciati, e vissuta nelle radici lontane, nel presente, emozione, impeto, idea e al tempo stesso aspirazione a rivelare la sua essenza perenne; ponte tra terra e cielo, crea uno spazio, che è il nostro spazio, dove trascese le quotidiane vicende, trae origine l’equilibrio, che trasforma il gesto in rito, la esistenza in presenza, e che noi siamo soliti definire classicità.
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Alfiero Nena non teme di apparire difforme ai tempi che viviamo; non si lascia travolgere nella rovina e nel dubbio, coll’atto con cui le mani modellano o intervengono nel finale ritocco, sana le cicatrici bruciate, le lacerazioni e tutto salda in questo fuoco che non è delirio ma dominio della materia, mestiere, lavoro; ciò che ci restituisce dignità e dà la forza del confidare nei nostri sentimenti.
La scultura diviene ciò che arresta la vana fuga dalla morte, pone un argine alla paura, e testimonianza dell’uomo ci mette in contatto con la dimensione sacrale della vita; tramite tra contingente e assoluto, monumento, cioè forma certa, segno di ciò che non muta più ed ormai è modello di armonia e di libertà, per quanto dolore e fatica sia costato all’artista. L’immaginazione si libera e a poco a poco dopo aver raccolto gli impulsi dell’inconscio, l’ombra delle memorie, l’eco del desiderio s’incarna nelle figure di un’altra realtà, dove misteriosamente si compie il destino, a saldo del fiume dalle acque abbondanti, dove i fatti della vita e la stessa lezione dell’arte sono confluiti e dove finalmente trova tregua il rovello ed il tormento, questa indomita volontà e forza ed energia e spirito.
La scultura per Nena è appunto il modo di ritrovare sotto le sembianze svuotate e le figurazioni del sogno la forza della realtà, di una realtà che sia partecipe intimamente alla naturalità della vita, forma e struttura, della natura, sostanza incorruttibile e valore. E’ il modo allora di non essere più un segno, o segni, ma vita, cioè significato e bellezza, estremo e assoluto equilibrio

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La ricerca di Alfiero Nena muova lungo l’arco dell’intera gamma delle possibilità espressive della scultura; scultura come “modellazione” sulla creta o la resina, perché poi trapassi nella fusione in bronzo, dove l’atto si ripiega in questo suo figurare a tutto tondo di cui recente esito sono queste sue dolcissime figure di donna: sorpresa in un passo di danza o raccolta nella struggente dimensione di madre. La materia sembra perdere il suo peso e vivere un suo intimo slancio, fino a rendersi tutt’uno con l’aria, e lo stesso colore dei luoghi. Anche il tema è classico, in questo suo tornare, ma reso in una sua intima drammaticità quasi a sottolineare come esso è oggetto di una scelta che il sentimento compie, contro la stessa esperienza. La scultura è memoria. Statua, ciò che sta e dura. Testimonianza inalterabile quand’anche di una prigionia, o di una stagione, nell’”adolescente”, che coglie un atteggiamento, che è fisica realtà e spirituale presenza.
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Abbiamo desiderato concludere queste annotazioni sull’opera di Alfiero Nena, con il richiamo ad un mestiere antichissimo, purtroppo oggi affidato a pochi artigiani in via di estinzione perchè in lui, attraverso la lezione paterna, trova ancora la forza di realizzarsi in esiti di elevata artisticità. Alludiamo alla sua fedeltà alla scultura in ferro e di ferro, a questo attacco alla materia che è paziente e dura fatica, costruzione che si scontra con la realtà della materia, l’imprevedibile resistenza, lo scavo del fuoco e dello scalpello, che un impeto tende o un attimo di debolezza lascia scivolare quasi come graffito sulla sostanza compatta e ostile. Scultura di ferro non nell’occasione che essa ha trovato nell’esperienza dada o dell’italiano Ettore Colla, di relitto, di frammento, rinvenuto e riscattato dall’uso e dalla funzione in questo gesto che segue i poteri dello sguardo e gli ridà la realtà dell’umano sentire. Ma lavoro, colpo sulla superficie perchè essa divenga immagine che porti con sè i segni e le tracce di questa sfida; Il segreto di questa lotta nella quale sopravvivono i miti dell’età lontane, delle origini, della affermazione dell’uomo contro la stessa natura. Mestiere e arte, tecnica e invenzione, energia e impulso, in questo frenarsi e bruciare, in questi colpi che sollevano fuoco, in questo fuoco che scioglie i nodi e rende l’incandescente sostanza, opera, opera dell’uomo. Così a lato di una ricerca di estrema dignità, ci pare dover richiamare l’attenzione su questa sua specifica espressione, su queste sculture in ferro, nelle quali la tradizione e l’invenzione, trovano il loro più suggestivo e valido risultato. Elio Mercuri 1975

Qualche anno più tardi fu edito un nuovo catalogo e, a quanto aveva scritto in precedenza, Mercuri aggiunge questo nuovo saggio:
I grandi temi della scultura, così come storicamente ha incarnato l’aspirazione dell’uomo a sottrarre la dignità della vita al naturale destino della morte, e in ciò appunto monumento, trovano nella ricerca di Alfiero Nena
una loro tormentata e autentica, bruciante espressione. Dove la profonda venerazione delle grandi lezioni del passato, l’attenzione puntuale alle ragioni di un mestiere antico e persino la fedeltà ai materiali assume un suo proprio spessore, quasi nell’adesione autentica ad un istinto e sentimento popolare. E’ sufficiente accennare ai temi, Spartaco, Prigionia, Ribellione per avvertire la tensione, umana e ideale di un vivere intensamente i miti e i motivi di una storia osservata dal punto di vista della vita e commisurata a questa partecipazione totale al dramma ed alla lotta contro ciò che è violenza e limite alla libertà, oppressione, contro le quali s’erge in uno sforzo estremo, il corpo stesso, il nostro essere uomini. Ora a maturazione di questa linea di ricerca di Nena e a suo compimento che già prefigura nuove opere, il bozzetto per il monumento ai caduti, con questa corrispondenza tra destino dell’uomo e natura, in quell’albero appena accennato e in quella commossa figura in uno spazio-superficie che crea un’atmosfera di raccoglimento e di pietà,di memoria che è anche civile impegno perché non si debba più conoscere il dolore di una more iniqua, ma soltanto il senso di una rinnovata solidarietà. L’eco di una amata tradizione di scultura, che trova radici in epoche lontane, di origini nella splendida civiltà dell’Ellenismo, e nel nostro Rinascimento testimonianze assolute, vibra nella struggente tenerezza di queste sculture di Nena, Marta, Attesa, Adolescente, Ballerina, Sogno, Gioia di Vivere; in questa sua intensa aspirazione a ritrovare le immagini di un antico sogno dell’uomo, di bellezza e di armonia, di giovinezza, oltre il velo di una incombente malinconia, la tentazione di una tristezza improvvisa che avvolgono in un alone, talvolta insistente, di elegia la contemplazione che rallenta l’impeto del modellare irruento e teso dello scultore. L’impulso contrasto con la creta e il gesso, col marmo, con la materia si attenua nell’atto che trasfigura, per effetto di una luce segreta che è desiderio e amore, processo di incarnazione di una propria toccante immaginazione di un dar vita nella creazione a qualcosa che è sì sembianza e figura, ma soprattutto ideale, prova di una nostra interiore e incancellabile visione nella quale confluiscono le correnti segrete dell’anima, i pensieri più profondi, le memorie felici, le attese, e in un ritmo di danza, ci sospingono nell’atmosfera magica, nella magia della vita quando è la gioia e la giovinezza, il gesto tenero e l’ombra sfuggente a incarnare la realtà. Tra i soggetti ritornanti nella scultura di Alfiero Nena,, e diremmo dentro il cuore del cuore, la maternità, queste toccanti sculture nelle quali il mistero più profondo dell’amore si trasforma in primordiale e assoluta esperienza dell’uomo; realtà alla quale oggi più che mai rivolgerci, nella speranza di dare un senso positivo, di vita , di affermazione della vita alle tensioni spesso laceranti ed amare della nostra esistenza. La semplicità, di un atteggiamento che i secoli non hanno mutato, l’essenzialità di un rapporto totale e sicuro, trovano nella scultura di Nena una loro saldezza, una loro grandezza; sino a divenire riferimento certo, presenza incancellabile, ritrovamento di una nostra possibilità di essere. Laiche e commosse testimonianze di un amore intrepido e insuperabile, di una relazione intima e assoluta, in quel senso di protezione e di sicurezza, e in quello stare, tra le braccia o sul grembo, in una levitazione che rende trasparente la materia, percorsa da una luce intensa e struggente, in un esito di tenerezza indimenticabile. E’ così, che un atteggiamento, una sembianza divengono realtà, presenze che si connettono ai nostri ricordi più dolci e nelle ore buie ci riconducono al calore della nascita e alla certezza dell’amore, alla vita, di cui tutto ciò è aspetto e realtà, prova assoluta e bellissima. Fino a cancellare ogni ombra di malinconia, e sentire nella maternità il perenne rinnovarsi del mistero della vita e dell’amore.
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C’è un passo nell’Estetica di Hegel che ha profondamente suggestionato la riflessione sull’arte sacra, là dove osserva che il valore devozionale è andato ormai perduto e che nessuno si inginocchierebbe più davanti alla Madonna di Raffaello. Questo processo di sconsacrazione ha raggiunto oggi forse il suo limite estremo del quale noi subiamo le più nefaste conseguenze al punto che in forme nuove tendiamo a ritrovare il sentimento religioso della vita. La Madonna realizzata da Nena sulla cima di Monte Tiberio a Capri, è una prova sincera e valida di come oggi sia possibile ritrovare il senso del sacro, soprattutto in questo rivivere il significato più profondo della figura di Maria, nella quale la natura umana è donna e madre, diviene nel mistero della maternità di Cristo, che è uomo e Dio, si ricongiunge definitivamente alla natura divina, ed è umanissima presenza, nella quale la separazione ha fine e la salvezza per tramite sublime dell’amore diviene condizione della vita dell’uomo.
Nena sente in modo immediato e toccante questa verità profonda, il segreto dell’amore del popolo per la Madonna, che è come noi, è una di noi oltre il tempo e la storia, e in quanto una di noi tramite alla divinità, ponte verso l’assoluto e l’eterno. E vive nel mistero della maternità, il mistero della vita e dell’amore, la grandezza e la dignità, la tenerezza e la bellezza, la fede e il sogno dell’uomo. La sua Madonna è una donna di oggi, con una bellezza e un’armonia che ne fa l’espressione di una memoria profonda, oltre che un’immagine reale, eppure ispira un religioso rispetto, una serenità, là al cospetto di un mare azzurro e nel cielo struggente di luce, un sentimento di pace o di raggiunta quiete, che assomiglia all’ideale classico o ellenico, a presenze che ci giungono dal nostro Rinascimento. Reale e ideale, maternità e incarnazione si fondono, in una scultura monumento indimenticabile, in questo gesto sempice e sublime, nel quale l’esperienza della madre è ponte verso il ritrovamento e la scoperta della grazia. E ancora dalla terra sale verso il cielo, la preghiera che raccoglie la commozione dell’animo in inno e in adorazione,in trionfo, quasi a rinnovamento del mistero dell’Assunzione, il nostro prorompente atto d’amore, il Gloria. Ed è ancora Gloria. Elio Mercuri