IL DIVINO E L’UMANO DI S. FRANCESCO
di Ciro Ruju

Il bronzo di S. Francesco, voluto da Padre Domenico, instancabile animatore della spirituaità cristiana in tutta la costiera sorrentina, è senza dubbio un atto d’amore per la individuazione di un punto di riferimento che fosse, da un lato segnaletica e dall’altro lato indicazione riferenzale di una religiosità espressiva, che deve, necessariamente, trovare nell’immagine sacra la continuità di un culto emozinale: la tangibilità virtuale del Santo.
Il Convento il cui Chiostro è la spiritualità architettonica francescana tramandataci dalla storia; la Chiesa – luogo della esplicitazione del culto nella sua complessità meditativa; la statua fulcro centrale di un insieme armonico che completa l’unità di percorso francescano proprio per la sua felice collocazione frontale alla chiesa stessa e quindi continuazione, a livello emozionale, di una partecipazione più esaustiva in quanto l’impatto con la statua di S.Francesco determina, nella memoria dell’osservatore, una visione più tangibile di un simbolo che si concretizza in immagine.
Infatti, una cosa è immaginare il poverello d’Assisi, un ‘altra cosa sarà la visione oggettiva di un gesto che la statua indica e che sarà appunto impatto non casuale per una religiosià più sentita. Fisicamente lì – posta nella sua tondità – a perenne ricordo di un gesto che la iconografia ci ha tramandato è sintesi aperta di tutta la vita del Santo. Fancesco uomo amante della natura vegetale ed animale, colto in uno slancio verso l’alto (il divino) è rappresentato dall’artista in una raffigurazione da cui emerge la consistenza umana, terrena dell’essere.
Lo scultore Alfiero Nena ha saputo cogliere in questa rappresentazione gli effetti più macroscopici di questo passagio: l’uomo Francesco, il Santo Francesco. Tema quest’ultimo non nuovo all’idealità dell’autore in quanto le sue rappresentazioni sacre tendono, nella idealità ispirativa, a cogliere l’aspetto di transizion del divino (Santo) dal suo essere terreno (uomo) operazione riscontrabile nella maggior parte delle sue opere: Si veda “Lux Mundi” dove questo passaggio rappresentativo è esasperato e più evidente determinato proprio dall’immagine del Cristo, che corporiamente si presenta quale essere che è stato martoriato e gestualmente è il divino che, tramite l’innalzamento delle braccia, lascia la “valle di lacrime”.
La figura di Francesco, attuata in una plastica tesa e vibrata, è rappresentata in una anatomia efficace proprio nell’attimo di piegarsi all’indietro per uno slancio che possa librare l’uccello. Un gesto colto nella sua naturalezza realistica tanto da evidenziare, attraverso lo stesso saio, le strutture anatomiche umane, in un tutto figurae, che ben si armonizzano con l’insieme della composizione. Una struttura non semplice che tenta di armonizzare rappresentativamente nei valori religiosi un’immagine che è di per sè complessa in quanto sintesi di una spiritualità vissura, che deve trovare nella statuaria, il punto di congiunzione di una tensione tra l’umano e il divino.
Nena raggiunge, a mio avviso, questa unione, puntando la sua plastica (un modellato che non ha niente da invidiare alla tradizione aulia del fare scultura) ad una rappresentazione realistica da cui, sia per capacità ecnia: l’intervenire sulla fusione avvenuta, e sia per capacità estetiche: la cura minuziosa dei particolari, emerge una sacralità effettiva che dona all’effige di S.Francesco una espressività ed una mobilità visiva di grande suggestione emozionale.
Pubblicazione di Ciro Ruju raccolta in parte nel libro “Il Complesso … op. cit