Alfiero Nena ed il Sacro: quando l’Arte è al servizio della Fede
di Brigida Mascitti
Alfiero Nena, classe 1933, trevigiano di origine ma romano di adozione e vocazione, è ormai attivo nel panorama artistico nazionale – e internazionale – da oltre cinquant’anni.
Dopo aver concluso gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, dove ebbe, tra gli altri professori, Emilio Greco alla cattedra di Scultura – e di cui subito divenne allievo prediletto oltre che prezioso collaboratore per opere di grande impegno – inizia a lavorare nel panorama romano dividendosi tra l’insegnamento (era infatti docente in vari Licei Artistici e Istituti d’Arte della Capitale) e il mestiere di scultore, disciplina “connaturata nel suo DNA”, giacché il padre, maestro artigiano nonché scultore del ferro, lo forma sin dalla più tenera età all’interno della sua bottega.
Ed è proprio lì a Treviso (patria per giunta di Giacomo Manzù, uno dei riferimenti cardine per il fare plastico e per la cifra stilistica del Nostro scultore) che il giovane Nena ha modo di acquisire i segreti di un mestiere e di una tradizione antica; la sua vocazione per l’arte e la lavorazione del ferro, il suo metallo prediletto, è precoce e sicura.
I suoi esordi si collocano dunque durante i fatidici anni Sessanta del ‘900, anni rivoluzionari per l’Italia, sotto molteplici aspetti: i dirompenti e decisivi cambiamenti politici, economici nonché sociali del Bel Paese non mancano di farsi sentire anche nel campo artistico, dove, con prepotenza, e mi riferisco in particolare alle Biennali veneziane, allora come oggi, palcoscenico esemplare della produzione ed ideazione artistica su scala mondiale – la cosiddetta “arte informale” ha la meglio sul “figurativo”. Si ricordi che nel 1966, a coronamento di oltre un quindicennio di lavoro dal primo Bando di Concorso Internazionale indetto per la realizzazione delle Porte di San Pietro in Vaticano, proprio Giacomo Manzù, con la sua Porta della Morte, sancisce la definitiva vittoria dell’Arte informale-astratta, che, di diritto, entra per la prima volta a far parte della Chiesa Cristiana e, nello specifico, diventa il simbolo più illustre dell’apertura del “Maggior Tempio della Cristianità” alla nuova Arte Contemporanea.
Ma c’è anche chi continua dritto per la strada del “figurativo” con enorme successo e mi riferisco nello specifico ad Emilio Greco che (assieme a Venanzo Crocetti e a Francesco Messina) è certamente uno dei più grandi scultori formali degli anni Cinquanta. Nena, in quegli anni è giovanissimo, si è da poco diplomato in Accademia, e non può certamente prescindere dalla lezione del suo Maestro. Come già altri studiosi prima di me hanno sottolineato, il Nostro è altresì attratto e vigile alla coeva scultura di Marino Marini e Pericle Fazzini, nonché all’opera di Auguste Rodin, di Alberto Giacometti e persino di Henri Moore.
E proprio la stretta osservanza degli insegnamenti figurativi acquisiti è certamente alla base del suo Monumento al Geniere in bronzo, realizzato nel 1964 a Piacenza ed oggi Monumento Nazionale: il successo ed il riconoscimento generale del pubblico e della critica per quell’omone, quel soldato che sorregge un’ancora enorme, lo porta direttamente all’interno del maggior “palcoscenico mondiale” per l’Arte: San Pietro. Per le Sacre Grotte Vaticane, Nena, nel 1969, realizza la Cancellata della Cappella Lituana, che contiene in sé un elemento scultoreo in ferro di grande valore: Cavallo e Cavaliere, raffigurante San Vladimiro, patrono della Lituania, a cavallo. A questo punto il confronto-raffronto con Marino Marini (antesignano per tutta la sua produzione artistica del tema in questione) è inevitabile: Nena lo supera con maestria, creando, come sottolineato da Mario Ursino nella monografia del Maestro, una figura “araldica carica di espressione […] richiamandosi ad uno stile antichissimo e al prezioso barbarismo di cui è sempre connotata l’arte e l’artigianato nordeuropeo, reinterpretato […] con storico rigore” .
Di qui in poi il lavoro di Nena con la Chiesa Cattolica è inscindibile. Il Nostro scultore ha modo di confrontarsi con due dei temi che saranno centrali e fondanti in tutta la sua successiva produzione plastica: la figura della donna con il bambino, della maternità e dunque della Madonna (madre di Cristo) – per la quale il raffronto con Greco è forte. Del resto Nena, così come il Maestro, pone la donna in un ruolo di assoluta centralità. Per il Nostro scultore, e cito Carmine Tavarone, la donna incarna il “nadir della vita, è la madre da cui tutto si genera e a cui tutto ritorna”. Ma allo stesso tempo “sembra captare ogni vibrazione interiore dell’universo femminile, per plasmarla in un arcaico naturalismo che non ha nulla di leziosamente mimetico, ma è il segno profondo di una estenuata meditazione sulla lezione di Giacomo Manzù” . Impossibile non ricordare l’enorme Madonna del soccorso di Capri, realizzata nel 1979 e collocata tra i ruderi di Villa Jovis di Monte Tiberio; la bronzea Attesa del 1992, dolcissima e struggente, oggi esposta all’interno del Museo Nena; la Madonna con bambino o Beata Vergine dell’Accoglienza in bronzo e la Maternità in terracotta, entrambe realizzate nel 1997 per il Museo del Tesoro di San Pietro, nonché l’essenzialità scarna e autentica del bassorilievo in terracotta di Madre Teresa di Calcutta del 2003, sintesi e lustro del percorso di crescita stilistico del Nostro.
Da credente cristiano, inoltre, Nena conduce i suoi studi verso un’appassionata e intensa ricerca sulla figura del “Cristo”, il secondo dei due temi che guidano il percorso artistico dello Scultore dagli esordi sino all’apice del successo negli anni Novanta . In un crescendo di incarichi e commissioni pubbliche, tra cui le opere per le nuove Piazze di Roma, in alcune delle quali il lavoro di sintesi ed espressività sfiora addirittura i vertici dell’informale, Nena pone sempre al primo posto il dialogo continuo e mai interrotto con la Chiesa.
Già nel 1971 aveva realizzato una struggente Deposizione in ferro (poi donata nel 2003 al Museo dell’Opera di San Pietro), mentre del 1981 è la Resurrezione donata all’Aula Magna Augustinianum presso il colonnato del Bernini a San Pietro: si tratta di una scultura in ferro di quasi 2 metri, un Cristo diverso da quelli realizzati in precedenza dallo scultore, un’ “esile figura dal volto appena tratteggiato, tesa simbolicamente verso l’alto” in cui Alfiero Nena […] ha inteso rappresentare la speranza, la gioia che può scaturire dal dolore” poiché Cristo “riscatta la morte di croce e sancisce per tutta l’umanità la verità della promessa del trionfo finale della vita sulla morte”.
Del resto, “la scultura per Nena è rivelazione dell’essere, individuazione dell’anima”, come scrive Elio Mercuri in riferimento allo stile, naturale e semplice, che da sempre il Nostro dispiega nell’affrontare quelli che sono i sentimenti dell’uomo, intesi come “forme della bellezza, che è segno dell’amore”. Il suo percorso artistico si delinea come un’ininterrotta riflessione esistenziale sulle ossessioni in cui si dibatte l’uomo con i suoi sentimenti: l’angoscia, il dolore, l’ansia, l’attesa, la solitudine, la gioia, la speranza. Quest’ultima è l’emblema della lotta alla disperazione, è il simbolo di molti uomini che, come San Francesco, lottano per riedificare la propria casa sulle macerie della storia. E proprio a San Francesco è dedicato il monumento realizzato per il Convento dei Frati Minori di Sorrento , concepito da Nena come una linea curva “che flettendosi accoglie in sé la materia per dar vita ad un corpo in potente tensione spirituale […] un corpo che perde di gravità, vince le resistenze della materia, incontra il volo degli uccelli che sfiorano i cieli “. Idealmente dunque, la scultura del Santo assisiate si colloca, con la sua potenza evocativa, al punto di intersezione tra le visioni di memoria delle “Madri” – già menzionate – ed i disfacimenti dei “Cristi” postumi, che trovano il vertice assoluto nelle esili forme lacerate e straziate del Cristo Lux Mundi, realizzato nel 1990 per la Basilica di Santa Maria del Popolo.
La scultura in bronzo, ferro e travertino, commissionata dai Padri Agostiniani per la nuova liturgia, è l’unica opera che dopo duecento anni dall’ultima commissione, viene ammessa nella basilica, al fianco dell’altare centrale. E’ concepita come crocefissione e resurrezione al tempo stesso poiché la figura del Cristo esprime sia la forza drammatica della croce che la vitalità insita nello straordinario evento della resurrezione. Un Cristo che ha impressi i segni della passione e della morte nei buchi accentuati delle mani e dei piedi; ma la spinta dinamica del busto, il viso trasfigurato, bellissimo, lo manifestano ormai magnificamente risorto. Nena ha voluto però restituirci intatto il volto del Cristo, senza la deformazione della sofferenza e della morte . La sintesi tra concettuale, spirituale e cifra tecnica-stilistica raggiunge in quest’opera vertici di maestria.
Le commissioni religiose da questo momento in poi prendono il sopravvento e Nena ha modo di confrontarsi con altri temi cari alla Chiesa Cattolica. Del 1995 è il Monumento a Padre Allegra, missionario francescano e primo traduttore della Bibbia Cinese, collocato ad Acireale, assieme ad un Cristo su raggiera in bronzo, mentre del 1997 è la donazione al Museo del Tesoro di San Pietro in Vaticano de la Cena in Emmaus, un altorilievo bronzeo che riesce ad imprimere in modo struggente e drammatico il tema del “mane nobiscum Domine” (resta con noi Signore, ché si fa sera): notevoli sono i passaggi del modellato nell’alto e basso-rilievo, in una continua creazione di chiari e scuri, di pieni e vuoti.
Nena è ormai un conclamato Maestro al servizio della Fede Cristiana e per il grande Giubileo del 2000 è chiamato a realizzare cinque sculture da collocare in ciascuna delle Basiliche di Roma . Tra queste è Il nome di Dio per San Giovanni in Laterano, una scultura in ferro in cui viene indagato il tema dell’ “Esodo del Roveto ardente” e sigillato nella materia ferrosa l’incontro tra l’uomo e Dio.
A coronamento di carriera, nel 2005, il Maestro realizza la Porta Giovanni Paolo II, un tema non scevro di paragoni se si pensa alle quattro porte di accesso alla Basilica di San Pietro – la Porta Santa di Vico Consorti, la Porta dei Sette Sacramenti di Venanzo Crocetti, la Porta del Bene e del Male di Luciano Minguzzi e la già menzionata Porta della Morte di Giacomo Manzù – realizzate in occasione del Concorso internazionale indetto il 1° luglio del 1947. Presentata nella Sala Nervi in Vaticano e benedetta da Benedetto XVI, la Porta di Nena è destinata al Museo del Tesoro di San Pietro. E’ un autentico capolavoro di sintesi concettuale e plastica: concepita a quadro unico, senza formelle, è campeggiata da Papa Giovanni Paolo II, il “nuovo Mosè” che ha guidato il mondo e la Chiesa nel terzo millennio. In pochi tratti e con assoluta semplicità si staglia la figura del Papa che accoglie in una mano un bimbo, mentre con l’altra indica il Cristo, luce e guida del mondo. Tutto l’insieme, dominato da un alternarsi di chiari-scuri, riconduce l’osservatore ai punti salienti del pontificato di questo grande Papa, certamente illuminato dai raggi divini che scendono dall’alto. L’attenzione ai piccoli e ai poveri è poi simboleggiata nel ragazzo che gli si avvicina fiducioso e che lui accoglie in atto di protezione. Infine, in basso a destra, la frase pronunciata dal Papa nel discorso della Pasqua 2003: “Cristo è risorto! Per tutti, per i piccoli e i poveri, proclamiamo oggi la speranza e la pace”.
Una carriera lunga quella di Alfiero Nena, contraddistinta da costanza, coerenza, impegno, maestria, fede e speranza, una vita volta all’esaltazione dei temi e dei sentimenti propugnati dalla Chiesa. Plasmati armoniosamente, con intensa e disarmante spiritualità, i suoi capolavori gli valgono oggi il conferimento del “Premio di Arti Sacre Beato Angelico 2016”, un ulteriore riconoscimento ai valori cattolici dell’uomo, della cultura e della civiltà, di cui la sua scultura è monumento, testimonianza e memoria.
Brigida Mascitti