Classicità e modernità in Alfiero Nena
di Luigi Tallarico

Il passaggio tra il classico e il moderno che si riscontra nell’opera scultorea di Alfiero Nena – da una parte Maternità 1975 e, dall’altra Lancio del giavellotto 1995 – non si misura con una dimensione temporale ma si lega ad una motivazione di ordine estetico. E questo perché il significato dell’opera identifica nella materia la diversa espressione formale. Infatti nella morbida terracotta di Maternità in cui le figure sono avvolte in un abbraccio rotatorio, come nell’atleta in ferro, proteso dietro il suo gesto fortemente censivo, noi ritroviamo la completa unità, raggiunta attraverso quella sintesi dei contrari individuata dal pensiero filosofico moderno e segnatamente dalla teoria del “dinamismo plastico” formulata da Umbro Boccioni all’inizio del secolo appena decorso.
La soluzione prospettata agli artisti del nostro tempo è da cercare nel fatto che l’ossimoro bocconiano di “dinamicità” e di “plasticità” è teso all’unità lirica, non già alla sua mera formulazione teoretica. In effetti l’elemento bipolare della “volumetria” e del “movimento” viene considerato da Nena, sia nei temi sacri che in quelli profani, sia nell’uso della materia plastica della terracotta che in quello espressivo del ferro, trovando nelle immagini la morbidezza del segno e lo scatto del moto in atto. E questo a conferma che gli elementi diversi sono diretti ad una soluzione unitaria nello slancio e nell’appiombo, specialmente nella modellazione della terracotta e nella fusione a tutto tondo del bronzo ma senza allentare la tensione motivata dal cambio del materiale.
In tal senso “Sigmund e Siglinde” 1986 la coppia perde i particolari anatomici e plastici per esaltare l’azione e la fusione dell’abbraccio, mentre la terracotta Maternità unifica braccia e corpi nell’unità simbiotica di madre e figlio, senza attenuare il moto rotatorio dell’abbraccio. Ed è qui infatti che Nena mostra di aver assimilato l’insegnamento bocconiano, attraverso la rivelazione dell’unità dio struttura e di movimento, soprattutto della continuità della linea-forza nello spazio. Per cui Nena non solo ha superato le soluzioni di Medardo Rosso che nell’opera plastica accusa la perdita della materia al contatto dell’atmosfera e dello spazio, ma ha affrontato e risolto il dramma Martiniano della scultura “lingua morta”, avendo il grande trevigiano confessato l’impossibilità di rappresentare nella statuaria i valori pittorici.
Ed è proprio nell’opera “Cristo Lux mundi” del 1990, ora nella Basilica di S. Maria del Popolo a Roma, che Alfiero Nena ha confermato l’unità della struttura con lo spazio e con i valori pittorici, attraverso lo scorporo della materia in funzione della luce, ottenendo la felice modulazione del chiaro-scuro proprio della pittura, sicché attraverso la scansione tra il vuoto in ombra e il pieno in luce, ha ottenuto una sinergia di linguaggi diversi per degli eventi che si riferiscono al destino ultimo dell’uomo e del mondo.
Possiamo pertanto confermare che Alfiero Nena ha mirabilmente realizzato questa unità di tempo-spazio nell’opera di S. Maria del Popolo e per la quale il Sen. Andreotti, anzi lo scrittore e uomo di cultura Andreotti, ha avuto parole di alta considerazione sottolineando, – e noi con lui – come l’espressività delle membra dilaniate mostrano il dramma terreno del Cristo uomo, mentre la luce che scivola sulle forme richiama la resurrezione e l’eternità del Figlio di Dio e perciò non circoscritto nel tempo storico ma presente, qui e ora, nello spazio-luce che l’avvolge e ci avvolge per sempre.

Luigi Tallarico